Pre-giudici e post-giudizi

La vera fatica è trovare il vero, sempre. Ma la fatica ancora più grande è cercarlo. Ho iniziato a farmi scudo e a fare della selezione perché spesso nel semplice ho trovato semplici, banali e brutte sorprese. Laddove ho cercato di aggiungere, mi sono accorta che niente era mai abbastanza; laddove c’era già troppo  ho evitato di guardare i particolari e mi sono fermata all’apparenza. Non so se sia meglio pensare male preventivamente e sentirsi sciocchi per aver non aver avuto fiducia, o essere puri al primo sguardo e poi sentirsi stupidi per aver creduto. Un termometro vero per capire la realtà non esiste e la febbre coglie anche gli spiriti e i giudizi più sani e lucidi facendoli delirare.

Operazione traduzione

L’operazione della traduzione mette a dura prova le capacità di pazienza di chi si accinge ad eseguirla. Lo spazio di tempo che passa tra il cominciare una pagina e poi voltare e passare alla successiva è infinito. L’attenzione dev’essere costante e rivolta alle singole parole, alle virgole, alla frase nel suo insieme e contemporaneamente a non perdere il filo del discorso, senza il quale la vivisezione rimane un esperimento sterile e privo di senso. Non c’è neanche la componente di realizzazione: la maggior parte delle opere che ci si affatica a tradurre sono già state tradotte, magari neanche bene e la materia di cui si tratta è talmente alta che si fatica ad avviciniravisi, pur curando con la massima attenzione forma e contenuto.
La traduzione però insegna la costanza e la forza di volontà. Insegna a frenare il fast-doing cui siamo ormai assuefatti. Permette di scoprire la capacità interpretativa e creativa del fenomeno lingua, e di indagare la povertà del risultato, senza sminuire la pregevolezza dello sforzo.
La fatica di anni passati a tradurre mi conferma il valore formativo di questa strana operazione di chirurgia che sembra oggi ormai una pratica clinica di fine 700 o un’operazione da ospedale da campo: comparata all’avanzare tecnologico moderno, che ci dimostra come un chirurgo possa operare in Italia muovendo dei tasti in America.
Nella traduzione il rapporto con l’oggetto di osservazione dev’essere invece univoco e diretto, richiede cura e rispetto nei confronti del “paziente” e umanità nei confronti dell’operante.
A “patire” e “pazientare” in questo caso è anche il chirurgo, che seziona le parti per poi doverle rimettere al loro posto, al fine di farle continuare a vivere.

Viaggi

Di viaggiare non si smette mai, e mai si smette di essere schiavi delle abitudini e della sedentarietà. E’ un rincorrersi continuo di ricerca di stabilità e voglia di fuga. Le esperienze modificano, insegnano e cambiano il carattere, ma ho capito di avere sempre avuto, in fondo, in me una intrinseca propensione al viaggio, che una volta compiuto mi provoca però incredibili difficoltà di adattamento. Amo viaggiare seduta nella mia stanza davanti ad un computer o leggendo un libro e navigo verso posti che da sempre amerei visitare, il Canada, Cuba, l’Australia. Ma l’idea di raggiungerli mi spaventa, temo il futuro e le sue incognite, temo di non trovare tutto ciò di cui ho bisogno. Ma dai viaggi che ho fatto non sono  mai, però, veramente tornata. Sta per compiere un anno la partenza tanto attesa, sono tornata e anche la vita vera è tornata, ma io sento di aver lasciato lì qualcosa, o meglio, mi sono portata tutto dietro, nella valigia: i volti, le persone, le feste, gli amori, le amicizie, la foresta, la macchina fotografica. Sentinelle di un passato che sento stranamente presente, che mi guarda, mi scruta e mi conserva, nell’attesa di un ritorno. Improbabile ma che sento che mi chiama. Una forma di passato che mi proietta verso il futuro. Il ricordo della felicità è la felicità stessa, l’attesa è trepidazione, il presente, però, non è vera realizzazione né vera felicità. Altro non c’è che continuare a rimandare e ritornare fra questi piani che si sovrappongono e in cui non scorgo più cos’è già stato e cosa avverrà. Temo che il presente mi sfugga, rifuggo l’ansia del futuro col tepore dell’esistito.

L’ infinito Post-Erasmus

Un libro non basta

un blog neppure

un articolo non serve

una poesia si perde

una foto si spegne

un messaggio riaccende

uno sguardo ricorda

una lingua si scorda

un abbraccio consola

un luogo ritorna

un biglietto si spreca

e la voce si rompe

se riapre l’attesa.

MTS