La mia Giocasta

Sik-Sik

Intervista a Maddalena Mazzocut-Mis

di Maria Teresa Santaguida di Maria Teresa Santaguida

In occasione del debutto di  La voce di Giocasta, in scena al  Teatro Franco Parenti dal 2 al 4 aprile,  abbiamo intervistato l’autrice del testo Maddalena Mazzocut-Mis, docente di Estetica all’Università degli Studi di Milano.

Lo spettacolo appartiene al progetto VARIAZIONI SUL MITO. Costellazioni da Edipo realizzato in collaborazione dall’Università degli Studi di Milano e il Teatro Franco Parenti, che prevede un convegno e alcune letture sceniche  dedicate alla figura di Edipo. (Programma completo su http://www.teatrofrancoparenti.it)

MAZZOCUTMaddalena Mazzocut-Mis

Come è nata l’idea di concentrarsi su Giocasta?

Lo spettacolo nasce da una produzione del 2009 all’Olimpia di Vicenza, in occasione del cinquecentenario della nascita del Palladio. La prima rappresentazione in quell’occasione fu un Edipo importante, incorniciato in una grande scenografia di Tebe e accompagnato dalle musiche di Azio Corghi. Le musiche e la scena sono rimaste, ma abbiamo cambiato prospettva, ripartendo…

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Il sessismo del governo Renzi si vede (anche) dalla foto di gruppo

D I S . A M B . I G U A N D O

Renzi, Napolitano e le otto ministre

Fare sessismo significa guardare una persona, e cioè valutarla, giudicarla, fotografarla, riprenderla in video, in una parola la “definirla” (con parole e/o immagini), per il suo sesso, punto e basta. Non per ciò che sa, pensa, dice, sente. Non per quel che ha fatto o potrebbe fare. Non per la sua storia personale e/o professionale. Ma solo per il sesso che le si attribuisce, con tutti gli stereotipi che si porta dietro: vestiti, posture, comportamenti, tic vari. Ed è sessismo, attenzione, anche quando lo sguardo – il giudizio, la valorizzazione, la definizione – sono positivi, non solo

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Il groviglio dell'”agibilità” politica di Berlusconi e le sorti del governo

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Democratici a Progetto

La condanna di Berlusconi e la (possibile) crisi di governo, ancora una volta appeso alle sorti di un singolo. Cerchiamo di capire i punti essenziali di questo dibattito dando qualche coordinata, in attesa del fatidico 9 settembre.

Per DaP – Democratici a Progetto Stefano Zirulia ricercatore in materie giuridiche all’Università degli Studi di Milano.

berlusconicondanna

Gli interrogativi circa la sorte politica di Silvio Berlusconi a seguito della recente condanna per frode fiscale sono al centro dell’agone politico, e giuridico, di fine estate. Gli avvocati del Cavaliere sono infatti alla ricerca di un salvacondotto legale che garantisca la sua “agibilità politica”: concetto giuridicamente inesistente, frutto di un neologismo coniato dall’entourage del leader del Pdl, con il quale vengono in questi giorni indicati gli obiettivi di impedirne la decadenza da senatore ed al contempogarantirne la candidabilità alle future elezioni. Gli scenari possibili, al momento, sono assai numerosi, e nelle ultime ventiquattro ore il quadro risulta ulteriormente complicato dalle notizie…

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Sindrome da Rientro Terrons

memoriediunavagina

Le ferie sono finite. Sono tornata a Milano e ho impegnato la prima settimana a combattere contro la forsennata Sindrome daRientro che mi ha – come da manuale – assalita.

Mettiamo subito le cose in chiaro: non solo la Sindrome da Rientro esiste, ma ci sono sindromi da rientro e sindromi da rientro. Con tutto il rispetto, tu, che lavori nella tua città e che il rientro significa SOLO tornare in ufficio, ecco tu non hai una minchia a che vedere con noi, che il rientro è una rivoluzione copernico-esistenziale, ogni anno, ogni estate, ogni check in, ogni Ciao-siamo-stati-bene-ci-vediamo-a-Natale.

Tecnicamente la Sindrome da Rientro Terrons è una roba che per capirla devi prendere la peggiore sindrome premestruale, moltiplicarla per la frustrazione di un campionato mondiale di calcio perso ai rigori, elevarlo a un dolore simile a una vescica sul tallone mentre indossi un paio di scarpe nuove, e forse…

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Nel tempo di una fermata le ha rovinato la Vita

La mappa delle Linee della violenza fa parte del progetto INSIEME CONTRO LA VIOLENZA, in cui gli studenti dello Ied di Milano, con SVS Donna Aiuta Donna, hanno studiato alcune campagne di sensibilizzazione da diffondere attraverso cartellonistica stradale, grandi magazzini, e mezzi pubblici e fermate del metro. Il progetto è nato con l’obiettivo di esplorare nuove modalità di comunicazione della violenza di genere, per sensibilizzare l’opinione pubblica, per informare le vittime e indurle a uscire dal “sommerso”. I lavori saranno selezionati per diventare reali campagne d’informazione nel prossimo autunno.

Della violenza e delle donne

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Vedo e sento con piacere molti miei amici, ex-amici ed ex-qualcosaltro uomini (diciamo) scrivere, postare, parlare della violenza sulle donne e del femminicidio. I suddetti mostrano sdegno, stupore rabbia per gli episodi di cronaca degli ultimi giorni e implorano giustizia, mostrando rabbia per ciò che i loro “simili” sembrano essere capaci di fare.
Il tutto fa piacere, tanto: che non siano sempre e solo le donne a parlare di donne è cosa giusta, ed è ciò che volevamo, finalmente. Devo però smentire per un attimo il buonismo di alcune di queste esternazioni e mettere da parte l’apprezzamento per “il gesto”. Insomma devo dire un sereno e pacato “no grazie” a chi poi, nella vita, non tratta le donne molto meglio di come fanno coloro che arrivano a picchiare, addirittura ad uccidere. Devo denunciare che ancora oggi, uomini (diciamo) della mia generazione sono abituati a non comportarsi veramente, profondamente, con le donne come con loro pari. E questo soprattutto nell’interazione uomo/donna che vada oltre il rapporto d’amicizia. Gli uomini, sempre quelli della mia generazione (ho 24 anni), sentono ancora di non dover dare spiegazioni. Sentono ancora il diritto di poter scegliere quando cominciare la loro caccia e quando concluderla senza fornire motivi validi, per ciascuna delle due fasi, all’oggetto del contendere, nella fattispecie la donna. Ancora nella mia generazione l’uomo è il più delle volte seccato dal dover motivare le sue azioni, anche quelle più scontate o meno pregevoli alla donna verso le quali esse sono rivolte, e questo perché, ancora oggi, non vede nella persona che ha di fronte un soggetto che realmente le meriti. Un soggetto che invece, per sua natura direi, è portato quasi sempre all’analisi e alla necessità di approfondimento e riflessione. Sempre fra gli uomini della mia generazione vedo questo pericolo, questo schermirsi dietro ai peggiori della categoria per celare, male, un desiderio inconscio di continuare a fare “un po’ come mi pare”. Purtroppo il rispetto per una donna passa anche attraverso un sereno e sonoro ‘vaffanculo’ che la stessa donna ha bisogno e diritto di sentirsi dire, quando e se necessario, e che è sempre meglio di un brutale, indifferente, irrispettoso e vigliacco silenzio. E se la conseguenza è il brusio di una risposta che si ha fastidio a sentirsi dare…anche dalla capacità di capire le differenze passa il rispetto nei confronti di esseri tanto uguali e tanto diversi. Tutto questo io temo, temo che stiamo portando a galla solo “la crème”, ma che da queste piccole cose, in realtà si capisca quanto il problema sia molto più radicato. Spero davvero di sbagliarmi.

Sorrentino: una grande, ricca, infelicità; poca bellezza.

servilloamaca

Non è omogeneo “La grande bellezza”, e nemmeno facile da metabolizzare. A tutti quelli che sono andati a vederlo ho chiesto un’opinione e tutti mi hanno detto di aver avuto bisogno di tempo per giudicare. Io l’ho visto, due volte, e alla seconda sto ancora pensando. Questo film è sconnesso, scomposto, irrequieto e maleducato. Delle parti tagliate si sente la mancanza, mentre del simbolismo finale – dai fenicotteri alla giraffa – avremmo fatto volentieri a meno…ma…questo film ha un fondo di verità terribile: l’incoerenza. Terribile perché ti sbatte in faccia che la vita, oggi, in un grande città depressa e desolata come Roma, è così: incoerente e spesso senza meta. Muore Roma sotto le vestigia di se stessa, raccontata come una grande meretrice vecchia e stanca, che fa e ha fatto godere sempre tutti, senza mai risparmiarsi e adesso è rimasta sola…strade  vuote, piazze deserte, come mai nella realtà. Mentre nelle case di lusso c’è la “vita”: un party estremo, cocaina a pioggia e sedute di botox con le stesse modalità con cui si fa la coda dal salumiere. Ma quale vita? Gente che non sa più in cosa credere, gente che ha fatto terra bruciata attorno a sé, gente presa da problemi inesistenti e piaghe da decubito nelle amache dorate a bordo piscina. Gente che ai tempi dell’Università dice di aver avuto non ideali, ma almeno idee e che recrimina il proprio finto impegno, fino a quando qualcun altro, più miserabile non è pronto a sbattergli in faccia il suo fallimento e di nuovo la sua incoerenza. Jepp Gambardella (Toni Servillo senza sbavature), protagonista di questa deriva fa questo con l’amica Serena (Galatea Ranzi): le ride in faccia mentre le dice di aver fallito come donna impegnata in politica, come moglie con un marito che tutti sanno essere gay, e come madre per aver affidato le sue figlie alle cure di tate e baby sitter…e mentre distrugge in poche parole la vita di Serena sorseggia uno dei tanti (ma mai troppi da essere ubriaco, come dice in una delle scene finali del film) drink con i quali scandirà la serata. Jepp, un po’ pallone gonfiato, fin dal titolo altisonante del suo primo e unico libro, L’apparato umano (un capolavoro, a detta degli altri), un po’ anima fragile che ha curato la sua sensibilità eccessiva immergendosi nel rumore della festa, fino a volerla governare: «Non volevo solo diventare mondano: volevo essere il re dei mondani. Non volevo partecipare alle feste: volevo avere il potere di farle fallire» una delle frasi cruciali del film pronunciata dalla sua voce fuori campo. Jepp giornalista, Jepp uomo di contatti che l’hanno reso ‘padrone’ di Roma, lui che non fa fatica a farsi aprire uno dei luoghi più magici ed esclusivi della capitale: il giardino degli aranci, sull’Aventino, da cui si vede il ‘cupolone’ talmente vicino che lo puoi toccare. E lui ci porta Ramona, spogliarellista e donna semplice, di quelle che le gioie della vita non le hanno mai nemmeno cercate, figlia di un amico, miserabile possessore dei locali in cui lei stessa lavora: ma è un amore che non sboccia per il terreno arido in cui è nato e per la morte di lei che arriva senza sorprendere mentre ancora sta provando a disintossicarsi. E poi c’è chi come Romano, amico del protagonista, deluso per l’ennesima volta dalla grande città, abortito il suo progetto teatrale, torna al paese, dove la vita è più vera?
Insomma tutto ruota vorticosamente attorno ad un mondo di nani e ballerine – letteralmente, come suggerisce la lunga scena festaiola all’inizio, al ritmo di una trashissima Carrà remixata – un mondo kitsch che della Dolce Vita felliniana non ha proprio nulla, se non le scene girate fra i monumenti dell’Eterna, che sono sempre lì, e forse sono anche peggiorati. Ma il mondo che racconta Sorrentino in questo film è la realtà di oggi vista c0n gli occhi dei parvenu, dei ricchi che hanno rosicchiato la classe dirigente intellettuale e se ne sono prese le poltrone senza sapere come gestirle. Dei ricchi cresciuti a pane e Canale5 e che…ebbene sì…Anche i ricchi piangono, come diceva il titolo di una famosa telenovela di cui probabilmente si sono pasciuti. Ma mancano tutti gli altri, mancano quelli non possono permettersi nemmeno di piangere. Perché l’infelicità, caro Sorrentino, se si continua a raccontarla così, senza approfondimento, senza logica, senza denuncia, ben presto sarà un bene che solo i ricchi possono permettersi, se già così non è. Questa retorica fa male a questo film, quest’unico punto di vista che non cambia le cose, che non prova a capire. Per il resto regia impeccabile e sceneggiatura di assoluto livello, una seconda parte più lenta e meno comprensibile per una prima fin troppo veloce e chiassosa. Ma ci mancano gli altri, ci mancano quelli che i motivi per piangere ce li hanno e non lo fanno, ci mancano quelli che un po’ di quell’infelicità, se avessero i soldi, se la comprerebbero come fa la BCE col nostro debito. Ma non succede: l’infelicità è ormai quasi diventata uno status symbol e onestamente di asciugare sempre e solo le lacrime dei ricchi ci siamo un po’ stufati.

La grande bellezza
di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Serena Grandi, Dorotea Ranzi.
in sala dal 23 maggio 2013